Incipit di “Vita di Michelangelo”
Era un borghese fiorentino – di quella Firenze dai palazzi severi, dalle torri erette come lance, dalle colline morbide e asciutte, finemente cesellate in un cielo di violetta insieme con i fusi neri dei loro cipressetti e la fascia argentea degli oliveti fruscianti come flutti; di quella Firenze dalla raffinata eleganza, nella quale potevano convivere il pallido, ironico volto di Lorenzo de’ Medici, il Machiavelli dalle grandi labbra astute, la Primavera e le Veneri clorotiche del Botticelli, dai capelli di pallido oro; di quella Firenze febbrile, orgogliosa, nevrotica, in preda a tutti i fanatismi, scossa da tutti gli isterismi religiosi e sociali, nella quale ognuno era libero ed ognuno era tiranno, nella quale era tanto bello vivere, eppure la vita era un inferno; di quella città dai cittadini intelligenti, intolleranti, entusiasti, astiosi, dalla lingua mordace, dallo spirito diffidente, capaci di spiarsi, essere gelosi e divorarsi tra loro: quella città ove non poteva resistere lo spirito libero d’un Leonardo, ove il Botticelli finiva con l’abbandonarsi all’allucinato misticismo d’un puritano scozzese; ove il Savonarola, dal profilo di capro e gli occhi ardenti, faceva danzare i suoi monaci intorno al rogo che bruciava le opere d’arte; ove, tre anni più tardi, si sarebbe innalzato un identico rogo per bruciare il profeta.