lunedì 22 febbraio 2010

1934 – Luigi Pirandello – Italia



Incipit de “Il fu Mattia Pascal”

Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qualvolta qualcuno de’ miei amici o conoscenti dimostrava d’avere perduto il senno fino al punto di venire da me per qualche consiglio o suggerimento, mi stringevo nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli rispondevo:

- Io mi chiamo Mattia Pascal.

- Grazie, caro, questo lo so.

- E ti par poco?

1933 – Ivan Bunin – Russia



Incipit di “Campagna”

Il bisnonno di Fràsovy, tra la servito soprannominato Zingaro, era stato fatto dilaniare da i levrieri del capitano di cavalleria di Durnòvo. Zingaro aveva portato via a costui, suo padrone, l’amante. Durnòvo aveva dato ordine di condurre Zingaro nei campi, fuori di Durnòvka, e di farlo sedere sopra un rialto di terra. Lui poi si era mosso con una muta di cani e aveva gridato: “Su, pigliatelo!”. Zingaro, che sedeva come stordito, se la dette a gambe. Ma fuggire dai levrieri non conviene.

1932 – John Galsworthy – Inghilterra



Incipit di “Landa in fiore”

Nell’anno 1930, in uno dei giorni subito dopo la pubblicazione dei bilanci di stato, nei pressi della stazione Vittoria a Londra, c’era da vedere una cosa stupefacente: tre inglesi, di tipo completamente diverso, tutti e tre in simultanea contemplazione, d’una statua londinese. Vi erano arrivati separatamente e stavano un po’ discosto l'uno dall’altro, nell’angolo sud-ovest dello spiazzo senz’alberi, dove non battevano loro negli occhi i raggi obliqui d’un tardo pomeriggio di primavera.

1931 – Erik Axel Karlfeldt – Svezia



Tratto da “Canti della landa e dell’amore”

Dalla strega

Quando la notte nebulosa è grigia

come l’argilla e d’umidi vapori

pregna, la strega indossa

la lunga veste sua talare e fuori

dell’uscio esce furtiva; striscia

intorno a rozze case, a capannoni;

tra cespi indugia d’erba petacciuola,

tra centonchi, naponi e cecerelli.

Poi fa ritorno e da un velo madido

strizza dentro una coppa la rugiada.

1930 - Sinclair Lewis - (Minnesota, USA)


Incipit di “Babbitt”

Le torri di Zenith sorgevano dalla nebbia mattutina: severe torri di acciaio, cemento e pietra arenaria, dure come la roccia e leggere come filigrana d’argento. Tuttavia non erano né chiese né fortezze, ma semplicemente bellissimi centri commerciali.

1929 – Thomas Mann – Germania




Incipit de “I Buddenbrook”

- Come dice?... come… dice)…
- Eh, perbacco, c’est la question, ma très chère demoiselle!
La moglie del console Buddenbrook che stava seduta accanto a sua suocera sul sofà rettangolare, verniciato di bianco e ornato con una testa di leone dorata – il materassino era rivestito di una fodera giallo-chiara – lanciò un’occhiata al marito seduto accanto a lei su una sedia a braccioli, e accorse in aiuto della figliola che il nonno,stando accanto alla finestra, teneva sulle ginocchia.

1928 – Sigrid Undset – Norvegia



Incipit di “Kristin figlia di Lavrans”

Nella divisione avvenuta dopo la morte di Ivar Gjesling il giovane a Sundbu, nell’anno 1306, la proprietà di Sil era toccata a sua figlia Ragnfrid ed al marito di lei Lavrans figlio di Biorgulf. I coniugi avevano dapprima abitato nella fattoria di Lavrans chiamata Skog, a Follo, vicino ad Oslo, poi erano venuti a vivere a Jorundgaard, sulle colline di Sil.

1927 – Henri Bergson – Francia




Incipit de “L’evoluzione creatrice”

La storia dell’evoluzione della vita, per quanto ancora incompleta, ci lascia già intravedere che l’intelligenza si è formata, in virtù di un progresso ininterrotto, lungo una via che sale, attraverso la serie dei Vertebrati, sino all’uomo. Essa ci mostra nella facoltà di intendere un annesso delle facoltà di agire, un adattamento sempre più preciso, sempre più plastico e complesso della coscienza degli esseri viventi alle condizioni di esistenza a essi fatte. Da questo dovrebbe conseguire che la nostra intelligenza, nel senso stretto della parola, è destinata ad assicurare la perfetta inserzione del nostro corpo nel suo ambiente, a rappresentarsi i rapporti reciproci delle cose esterne: in breve, a pensare la materia.

1926 – Grazia Deledda – Italia




Incipit de “Il vecchio della montagna”

Melchiorre Carta saliva la montagna, ritornando al suo ovile.
Era un giovane pastore biondastro, di piccola statura; una ruga gli disegnava fra le sopracciglia folte e nere, che spiccavano nel fosco giallore del suo volto contornato da una rada barbetta rossiccia. Anche la sopragiacca di cuoio del suo costume era giallognola, e il cavallino che egli montava era rossastro, tozzo, angoloso e pensieroso come il suo padrone.

1925 – Bernard Shaw – Irlanda



“La professione della signora Warren” fu scritta nel 1894 per attirare l’attenzione del pubblico sulla verità del fatto che la prostituzione è causata non dalla depravazione delle donne o dalla scostumatezza degli uomini, ma semplicemente dall’essere le donne così vergognosamente malpagate, sottovalutate e sfruttate, che le più povere di esse sono costrette a ricorrere alla prostituzione se vogliono mantenersi in vita.

Dall’Atto Primo de “La professione della signora Warren”

Un pomeriggio d’estate nel giardino di un cottage sul versante orientale di una collina un po’ a sud di Haslemere, nel Surrey. Guardando verso la collina, il cottage è visibile nell’angolo di sinistra del giardino, col tetto di paglia, il portico e un’ampia finestra ad inferriata, a sinistra del portico.

1924 – Wladislaw St. Reymont – Polonia (?)


Incipit de “I contadini”

- Sia lodato Gesù Cristo.
- Nei secoli dei secoli! Dove ve ne andate Agata?
- Per il mondo, fra la gente, benefattore mio! È così grande il mondo!
E levò il bastone per descrivere, da levante a ponente, una grande cerchio nell’aria.
Il curato seguì con lo sguardo il gesto che disegnava quella lontananza infinita, ma abbassò subitamente gli occhi abbarbagliati dal sole che vicino al tramontare rosseggiava a metà del cielo; poi domandò sottovoce, quasi timorosamente…

1923 – William Butler Yeats – Irlanda




L’indiano alla sua amata

L’isola sogna all’alba, e grandi rami
Stillano quiete; le pavoncelle danzano
Su un prato raso, e un pappagallo oscilla
Su un albero, infuriandosi
All’immagine propria nel mare di smalto.

Ormeggeremo qui la nostra nave solitaria,
Vagando con la mano nella mano,
Teneramente sussurrando bocca a bocca
Lungo l’erba e le sabbie, sussurrando
Come siano lontane le terre senza pace:

E come noi, unici fra i mortali,
Siamo celati sotto i quieti rami,
E il nostro amore si fa come una stella indiana,
Una meteora del bruciante cuore, una cosa
Unica con i flutti che scintillano, con l’ali che scintillano e dardeggiano,

Con i rami pesanti, e la colomba brunita
Che i giorni e giorni sospira e geme:
Come alla nostra morte le ombre nostre se ne andranno erranti,
Quando la sera avrà acquietato le vie dei pennuti,
Con vaporoso incedere presso la sonnolenta luce delle acque!

1922 – Jacinto Benavente – Spagna


Atto Primo de “Il nido altrui”

Elegante sala da pranzo in casa di Giuseppe Luigi.

Scena 1

Emilia e Luisa entrando

EMILIA Dite che la signora non tarderà a tornare?
LUISA No, signora. È uscita per andare a messa e fare alcune compere. Sono quasi le undici, l’ora della colazione, e lei conosce la puntualità dei signori.
EMILIA E come! Non c’è una casa più ordinata di questa. Proprio come la mia. Una baraonda simile! Ma provate a tenere in ordine, con quattro bambini e i domestici e le relative balie… Qui, è chiaro, una coppia di sposi, due domestici… Avrete ben poco da fare…
LUISA In realtà il lavoro è poco.
EMILIA E il padrone sta meglio?
LUISA Un po’ malaticcio, come al solito. La settimana scorsa ha avuto uno dei suoi attacchi; ne ha risentito molto; ma da quando è arrivato il signor Emanuele sembra essersi ripreso.

1921 – Anatole France – Francia




Incipit di “Taide”

In quel tempo il deserto era pieno d’anacoteri. Innumerevoli capanne, costruite dai monaci con fronde e fango, si susseguivano lungo le due rive del Nilo, Né troppo vicine, né troppo lontane, permettendo agli abitatori di vivere isolati e d’aiutarsi in caso di bisogno. Di tanto in tanto qualche chiesa, con in vetta il segno della croce, emergeva fra le capanne; e i monaci vi si recavano i giorni di festa per assistere alla celebrazione dei misteri e partecipare ai sacramenti. C’erano anche, proprio sull’orlo del fiume, casa abitate da cenobiti che, chiusi ciascuno nella sua angusta cella, quella comune dimora eleggevano per meglio assaporare la solitudine.

1920 – Knut Hamsun – Norvegia




Incipit di “Fame”

Al tempo in cui facevo la fame e andavo attorno per Cristiania, quella singolare città che nessuno abbandona senza portarne le stigmate…

1919 – Carl Spitteler – Svizzera


Incipit di “Il tenente Conrad”

Il giovane tenente Conrad Reber dell’albergo “Pavone” di Herrlisdorf, entrò nella stalla, passando dietro i cavalli, che al suo arrivo gettarono in alto la testa, modificando rumorosamente la loro posizione. Lissi, invece, la cavallina roana in fondo all’angolo, si guardò intorno fiduciosa e alzò la coda, allargando le gambe.

1917 – Henrik Pontoppidan - Danimarca




Incipit de “L’orso polare”

Immagina, caro lettore, un faccione di color rosso acceso, donde penda una candida barba arruffata, tra i cui grossi peli si nascondano residui di una minestra di cavoli, briciole di pane, o di tabacco color cannella. Aggiungivi l’imponenza di una gran fronte rugosa e d’una chiara calvizie cinta sulla nuca da una corona di bianchi capelli ricciuti che scendono sul colletto della giubba, un paio d’orecchie piccole, molli e carnose, due soffici e lanose sopracciglia, e un imponente naso violaceo che sporge tra due grandi e chiari occhi azzurrini dall’attonito sguardo. Ravviva questo volto con una mimica incessante e quasi inconscia, un frequente sorriso che accompagna i pensieri, il lieto ammiccare d’un occhio e un improvviso e ingiustificato alzarsi e abbassarsi delle folte sopracciglia accompagnato da simultanei movimenti delle braccia e delle spalle, e ti sarai fatta un’approssimativa idea dell’uomo che è il terrore del distretto di Uggelejre, lo sgomento di tutto il clero, l’oggetto dell’indignazione dei maestri di scuola e la disperazione del vescovo evangelico: del parroco protestante di Soby, Thorkild Asger Ejnar Frederick Muller.

1917 - Karl Gjellerup - Danimarca




Incipit di “Sol maggiore”

- Nessuna lettera per me?
- Sì, ne è giunta una col treno del pomeriggio… l’ho portata di sopra, nella stanza del dottore… al n.11, si accomodi.
Vilhelm Herts prese la chiave e salì su per la buia scala dell’Hotel Vinhuset. Al primo piano si rinchiuse in una piccola stanza che dava sulla piazza della chiesa. Là, sul tappetino, gettato di sbieco sul tavolo, stava la letterina, appoggiata a un candeliere di ottone ossidato.

1916 – Verner von Heidenstam – Svezia


Incipit di “I soldati di Carlo XII”

Dall’attico del Castello reale, dove il comandante dei pompieri teneva uno spaccio di acquavite e di birra, fu spinto giù per le scale un lungo e smilzo consumatore. Dietro gli buttarono la sua mezzina di stagno, vuota, che gli rotolò tra gli stivali. Portava calze di lana rattoppate e sudice e una sciarpa serrata fin sopra la bocca e sulle guance non rase, mentre teneva ancora le mani ficcate nelle tasche della giubba.

1915 – Romain Rolland – Francia


Incipit di “Vita di Michelangelo”

Era un borghese fiorentino – di quella Firenze dai palazzi severi, dalle torri erette come lance, dalle colline morbide e asciutte, finemente cesellate in un cielo di violetta insieme con i fusi neri dei loro cipressetti e la fascia argentea degli oliveti fruscianti come flutti; di quella Firenze dalla raffinata eleganza, nella quale potevano convivere il pallido, ironico volto di Lorenzo de’ Medici, il Machiavelli dalle grandi labbra astute, la Primavera e le Veneri clorotiche del Botticelli, dai capelli di pallido oro; di quella Firenze febbrile, orgogliosa, nevrotica, in preda a tutti i fanatismi, scossa da tutti gli isterismi religiosi e sociali, nella quale ognuno era libero ed ognuno era tiranno, nella quale era tanto bello vivere, eppure la vita era un inferno; di quella città dai cittadini intelligenti, intolleranti, entusiasti, astiosi, dalla lingua mordace, dallo spirito diffidente, capaci di spiarsi, essere gelosi e divorarsi tra loro: quella città ove non poteva resistere lo spirito libero d’un Leonardo, ove il Botticelli finiva con l’abbandonarsi all’allucinato misticismo d’un puritano scozzese; ove il Savonarola, dal profilo di capro e gli occhi ardenti, faceva danzare i suoi monaci intorno al rogo che bruciava le opere d’arte; ove, tre anni più tardi, si sarebbe innalzato un identico rogo per bruciare il profeta.

1913 – Rabindranath Tagore – India


Incipit de “Lo scheletro” tratto da Mashi.

Nella stanza accanto a quella dove si dormiva noi ragazzi, era appeso uno scheletro umano. La notte scricchiolava alla brezza scherzante attorno alle sua ossa; di giorno, quelle ossa le facevamo scricchiolare noi. Si prendevano lezioni di osteologia da uno studente della Scuola Medica di Campbell, perché i nostri tutori eran decisi a renderci esperti in ogni scienza. Quanto vi siano riusciti, non occorre che lo diciamo a quelli che ci conoscono, ed è meglio tenerlo nascosto a chi non ci conosce.

1912 – Gerhart Hauptmann – Germania


Incipit di “L’eretico di Soana”

Per arrivare in cima al monte Generoso il viaggiatore può partire da Mendrisio o prendere a Capolago la ferrovia a dentiera o incamminarsi – ed è la via più faticosa – da Bissone per Soana. Tutta la zona appartiene al Ticino, un cantone svizzero con popolazione italiana.

1911 – Maurice Maeterlinck – Belgio



Incipit di “La vita delle api”

Non intendo scrivere un trattato di apicoltura o allevamento delle api. Tutti i paesi civili ne hanno di eccellenti che è inutile rifare: la Francia ha quelli Dadant, di Giorgio de Layens e Bonnier, di Bertrand, di Hamet, di Weber. Dli Clèment, dell’abate Collin, eccetera; i paesi di lingua inglese hanno Langstroth, Bevan, Cook, Cheshire, Cowan, Root e i loro discepoli; la Germania ha Dzierzon, Van Berlepsch, Pollmann, Vogel e molti altri.

1910 – Paul Heyse – Germania


Incipit de “Il figlio perduto”

Viveva in Berna, verso la metà del decimosettimo secolo, una rispettabile signora, Elena Amthor, vedova di un ricco e cospicuo borghese, membro del Consiglio; era rimasta sola con due figli, sebbene ancora nel fiore degli anni e della bellezza, alle più vantaggiose e onorevoli proposte che le vennero fatte di contrarre un secondo matrimonio non dette ascolto, dichiarando sempre che non aveva oramai altro scopo sulla terra se non quello di tirar su i figliuoli per farne delle persone educate e dabbene.

1909 – Selma Lagerlof – Svezia


Incipit de “La casa di Liljecrona”

La seconda festa di Natale dell’anno 1800 si scatenò sul distretto di Lovsjo nel Varmland un uragano terribile. Pareva che volesse portar via quanto si trovava sulla terra, e far tabula rasa di quella regione. Nessuno aveva mai veduto prima, né vide poi, una così terribile furia di vento, a quanto dicono i vecchi abitatori del Lovsjo, i quali fin dalla loro infanzia hanno sentito parlare di quella bufera memorabile.

1908 – Rudolf Eucken – Germania


Incipit de “La visione della vita dei grandi pensatori”

Tracciare la concezione platonica del mondo è forse la parte più difficile del nostro compito. Principalmente perché la personalità incomparabile di cui l’opera sua è una manifestazione, abbraccia in sé impulsi profondamente diversi, anzi contrasti irreconciliabili.

1907 – Rudyard Kipling – India / Inghilterra

Incipit de "Il libro della giungla"

Eran le sette di sera, d’una serata caldissima fra le colline di Seeonee, quando Babbo Lupo si svegliò dal suo riposo diurno. Si grattò, sbadigliò e tirò le zampe una dopo l’altra per scuoterne dall’estremità il torpore del sonno. Mamma Lupa se ne stava accucciata, col grosso muso a terra, in mezzo ai suoi quattro cuccioli che si rotolavano guaiolando, e la luna splendeva entro la bocca della tana che era la loro casa.

1906 – Giosué Carducci – Italia




Tratto da “Juvenilia”

Profonda, solitaria, immensa notte

Profonda, solitaria, immensa notte;
Visibil sonno del divin creato
Su le montagne già dal fulmin rotte,
Su le terre che l’uomo ha seminato.

Alte da i casti lumi ombre interrotte;
Cielo vasto, pacifico, stellato;
Lucide forme belle, al vostro fato,
Equabilmente, arcanamente, addotte;

luna, e tu che i sereni e freddi argenti
Antica peregrina a i petti mesti
Ed a’ lieti dispensi indifferenti:

Che misteri, che orror, dite, son questi?
Che siam, pover razza de i viventi?...
Ma tu, bruta quiete, immobil resti.

1905 – Henryk Sienkiewicz – Polonia




Incipit di “Quo vadis? (Romanzo ai tempi di Nerone)”

Petronio si destò soltanto verso mezzogiorno, stanchissimo, come al solito. La sera avanti aveva partecipato, da Nerone, a un banchetto, che si era protratto fino a notte alta. Da qualche tempo la sua salute declinava. Egli stesso confessava di svegliarsi al mattino con le membra intorpidite e il pensiero greve. Ma il bagno del mattino e accurati massaggi praticati da schiavi esperti acceleravano via via la lenta circolazione del sangue, lo rianimavano, gli ridavano le forze, così che dall’unctorium, ultimo reparto del bagno, usciva ancora come rinato, gli occhi scintillanti di spirito e di allegria, ringiovanito, vivace, elegante, l’incomparabile arbiter elegantiarum che neppure Ottone riusciva a eguagliare.

1904 – Frédéric Mistral (Francia)

Tratto da “Mirella”

Canto Primo – La masseria de’ Bagolari

Canto una giovinetta di Provenza.
Nel primo amore dell’adolescenza
attraverso la Crau, verso il mare, fra il gran,
del grande Omero povero scolare,
col mio canto la voglio seguitare.
Era una contadina, e domandare
di lei fuor della Crau è domandare in van.

1904 – José Echegaray - Spagna

“O Pazzia o santità”

La scena rappresenta lo studio di Don Lorenzo, è una stanza a forma ottagonale. A sinistra dello spettatore, in primo piano, un caminetto acceso sopra un grande specchio in cornice nera; in secondo piano una porta. A destra, in primo piano, un’altra porta; in secondo piano, una finestra. Nel fondo, la porta principale. Nei due lati obliqui dell’ottagono, grandi scaffali pieni di libri. A sinistra, una scrivania a ribalta con una poltrona. A destra, un divano. Su alcune seggiole, sul tavolo, sui ripiani degli scaffali e lungo le pareti, libri e oggetti d’arte messi alla rinfusa, ma senza che l’insieme appaia in disordine. L’arredamento, elegante e ricco, è però di gusto molto severo: tendaggi e mobili scuri. È un giorno d’inverno; c’è poca luce.

Scena I

Don Lorenzo , seduto al tavolo, legge attento.

LORENZO Le misericordie – rispose don Chisciotte – sono, nipote mia, quelle che in questo momento Dio ha voluto concedere a me, che non sono impedito dai miei peccati. Io ora sono in pieno possesso del mio senno, libero e chiaro, non velato dalle fosche ombre dell’ignoranza, in cui mi aveva avvolto la deplorevole, continua lettura che feci dei detestabili libri di cavalleria. Ora ne capisco le fandonie e gli inganni e mi rammarico soltanto del fatto che questa disillusione sia giunta così tardi da non lasciarmi tempo di fare una qualsiasi ammenda leggendo altri libri che siano luce dell’anima.


1903 – Bjornstjerne Bjornson – Norvegia


Incipit di “Polvere”

La strada che dalla città porta a Skogstad, la grande tenuta degli Atlung, con gli stabilimenti lungo il fiume, poteva essere percorsa in due ore, tenendo il cavallo ad andatura regolare; ma con quel buon terreno invernale che avevamo avuto, ci voleva appena un’ora e mezzo. La strada correva lungo il fiordo.

1902 – Theodor Mommsen – Germania



Incipit di “Storia di Roma”

Sulle sponde di quel mare mediterraneo che, insinuandosi nella terraferma, forma il più vasto golfo dell’Oceano ed ora restringendosi per mezzo di isole e promontori, ora estendendosi ampiamente, unisce e separa ad un tempo le tre parti del mondo antico, si stabilirono fin dai tempi remoti genti varie che, se sotto l’aspetto etnografico e linguistico appartengono a stirpi diverse, storicamente formano un unico complesso.