Incipit di “Narciso e Boccadoro”
Davanti all’arco d’ingresso, retto da colonnette gemelle, del convento di Mariabronn, sul margine della strada c’era un castagno, un solitario figlio del Sud, che un pellegrino aveva portato da Roma in tempi lontani, , un nobile castagno dal tronco vigoroso; la cerchia dei suoi rami si chinava dolcemente sopra la strada, respirava libera e ampia nel vento; in primavera, quando intorno era già tutto verde e anche i noci del monastero mettevano già le loro foglioline rossicce, esso faceva attendere ancora a lungo le sue fronde, poi quando le notti eran più brevi, irradiava di tra il fogliame la sua fioritura esotica, d’un verde bianchiccio e languido, dal profumo aspro e intenso, pieno di richiami, quasi opprimente; e in ottobre, quando l’altra frutta era già raccolta e il vino nei tini, lasciava cadere al vento d’autunno i frutti spinosi della dalla corona ingiallita: non tutti gli anni maturavano; per essi s’azzuffano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua col fuoco del camino. Esotico e delicato, il bell’albero faceva stormir la sua chioma sopra l’ingresso del convento, ospite sensibile e facilmente infreddolito, originario d’altra zona, misteriosamente imparentato con le agili colonnette gemelle del portale e con la decorazione in pietra degli archi delle finestre, dei cornicioni e dei pilastri,, amato da chi aveva sangue latino nelle vene e guardato con curiosità, come uno straniero, dalla gente del luogo.
Davanti all’arco d’ingresso, retto da colonnette gemelle, del convento di Mariabronn, sul margine della strada c’era un castagno, un solitario figlio del Sud, che un pellegrino aveva portato da Roma in tempi lontani, , un nobile castagno dal tronco vigoroso; la cerchia dei suoi rami si chinava dolcemente sopra la strada, respirava libera e ampia nel vento; in primavera, quando intorno era già tutto verde e anche i noci del monastero mettevano già le loro foglioline rossicce, esso faceva attendere ancora a lungo le sue fronde, poi quando le notti eran più brevi, irradiava di tra il fogliame la sua fioritura esotica, d’un verde bianchiccio e languido, dal profumo aspro e intenso, pieno di richiami, quasi opprimente; e in ottobre, quando l’altra frutta era già raccolta e il vino nei tini, lasciava cadere al vento d’autunno i frutti spinosi della dalla corona ingiallita: non tutti gli anni maturavano; per essi s’azzuffano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodì, li arrostiva in camera sua col fuoco del camino. Esotico e delicato, il bell’albero faceva stormir la sua chioma sopra l’ingresso del convento, ospite sensibile e facilmente infreddolito, originario d’altra zona, misteriosamente imparentato con le agili colonnette gemelle del portale e con la decorazione in pietra degli archi delle finestre, dei cornicioni e dei pilastri,, amato da chi aveva sangue latino nelle vene e guardato con curiosità, come uno straniero, dalla gente del luogo.
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